RAGAZZI ALLUXINATI
(per colpa delle capre)
(per colpa delle capre)
Alcune cose potrebbero essere vere e alcuni nomi diversi, ma non saprete quali.
La responsabilità di tutto questo
è di Gerard Depardieu, quando ancora poteva entrare in una cinquecento. La
colpa era sua, di Pierre Richard e del regista Francis Veber. Loro tre nel 1981
fecero un film; “La Chevre”, la capra. Non so se ispirarono Sgarbi, so che
quella commedia fu responsabile di una serie di eventi che ci coinvolsero
direttamente. Il matematico Edward Lorez teorizzò “l’effetto farfalla” e ne
parlò in una conferenza dal titolo “Può il batter d’ali di una farfalla in
Brasile, provocare un tornado in Texas”, figuratevi cosa può provocare una
capra. Due disastri in due sale cinematografiche durante la sua proiezione. In
una sala a Napoli sentirono delle scosse di assestamento dopo il terremoto
dell’Irpinia, il pubblico spaventato si accalcò all’uscita provocando due
morti. Fu a Torino che avvenne la catastrofe. La più grande strage della città
dal dopoguerra. 1983, domenica pomeriggio, tredici febbraio ore 18.30. Nevica,
al cinema Statuto propongono ancora, dopo tredici repliche, dico tredici, il
film “La capra”. Un mese prima sette ispettori avevano verificato l’agibilità
della sala ed il rispetto delle normative previste. Il cinema Statuto era stato
riconosciuto agibile e sicuro. Anche se le etichette delle poltrone riportavano
la scritta “tessuto ignifugo, produce fumo”. Un cortocircuito in platea, una
tenda prende fuoco, cade sulle poltrone che iniziano a bruciare. Il fuoco morde
la moquette dal pavimento alle pareti ed infine il soffitto. In platea si
accorgono di questo e tentano di uscire. Cinque delle sei porte di sicurezza
risultano chiuse per evitare ingressi non paganti. Il gestore sente i calci, i
pugni contro le porte e le persone gridare. Per evitare più confusione decide
di non accendere le luci e continuare la proiezione. In galleria non capiscono. Poi sale il fumo
acre delle poltrone in poliuretano, della plastica delle lampade e della
moquette. Si può trattenere il respiro per tre minuti, alcuni di più ma poi
respiri. In galleria respirarono ossido di carbonio e acido cianidrico. Nel
marciapiede stesero 64 corpi, trentuno uomini, trent’uno donne, un bambino ed
una bambina. La vittima più anziana aveva cinquantacinque anni, la più giovane
sette. Una giovane coppia di innamorati fu ritrovata abbracciata. Al funerale
li vestirono da sposi. Sessantaquattro persone morte in un locale perfettamente in regola .
Questa tragedia costrinse ad una
profonda revisione dei parametri di sicurezza, soprattutto dei cinematografi e
dei teatri.
A 355 chilometri da Torino esiste
il cinema teatro lux. Nel 1984 conteneva 720 posti a sedere tra galleria e
platea. Poltrone in legno e pavimento in legno. Le poltrone non emettevano fumo
in caso di incendio ma fiamme. Sotto l’insegna campeggiava ambiziosa la scritta
“progetto cinema 1984”, a fine anno il cinema venne riconosciuto non agibile e
chiuso. La scritta rimase per lungo tempo e del fantomatico progetto si persero
le tracce.
L’ultimo spettacolo nel cinema
Lux coincise con la nascita degli Homo Ridens.
Cate, una di noi, scrisse con il
rossetto su una parete del palco “1984 Homo Ridens, è finita!”.
IIn realtà per noi fu l’inizio.
Il gallo però, che nessuno di noi riuscì a catturare,
continuava a cantare fuori dal cinema, provocando la risposta degli altri galli
dei dintorni, col risultato di svegliare tutti i polli dei cortili vicini.
Salamini ci stupì tutti riuscendo ad addormentare uno spettatore, ad infilargli
una spilla da balia nel braccio, svegliarlo, chiedergli se poteva infilargli
una spilla nel braccio, riaddormentarlo e toglierli la spilla. Alla fine
risvegliarlo, ringraziarlo per la collaborazione e mandarlo al posto tra gli
applausi. L’ignaro guardava tutti con fare sospetto e alquanto stupito .
leggi il capitolo successivo
IIn realtà per noi fu l’inizio.
Ingrediente n.1 LUX
A volte le persone corrono dei
rischi in modo inconsapevole. Qualcuno li corse per noi decidendo che eravamo
affidabili al punto di assegnarci la conduzione del cinema LUX. Dei folli.
Teatro rettangolare, sedie in
legno, su pavimento in tavole. Ingresso ampio con tre porte e due scale
laterali in marmo che portavano ad un foyer dal quale si accedeva alla
galleria. Su un lato del foyer una
piccola scala a chiocciola in ferro da cui si accedeva alla saletta di
proiezione. La loggia era dotata di due lunghe ali che abbracciavano tutta la
platea. Per un totale di 720 posti a sedere. Il palco era rettangolare lungo
circa dodici metri e largo cinque. Senza quinte ma con il sipario, rosso. I
camerini non esistevano, si scendeva dal lato sinistro e si terminava in un
corridoio, volendo da li attraverso una porticina si poteva accedere al
sottopalco usato dall’asilo come ripostiglio.
Il Lux diventò la nostra casa ma
prima di esserlo era gestito da un simpatico signore con i baffi ed un grande
neo peloso sul mento, ed un pessimo gusto in fatto di film. Ricordo bene la sua
faccia ed anche l’espressione di sorpresa quando ci chiuse dentro al cinema.
Mio padre una volta decise di portarci a vedere un film, evento unico, infatti
non mi portò più. Nella fretta di andare, ne lui, ne mia madre, ne io sapevamo
di che film si trattasse. Era di fantascienza, si vedevano uomini e donne
vestiti di bianco e tutti rasati e cose del genere ma evidentemente non piaceva
molto, in sala eravamo in tre. Per farmi contento salimmo tutti nella galleria
e nell’ultima fila, esattamente sotto lo spioncino della sala proiezioni. Ad un
certo punto si apri il vetro, qualcuno guardò la sala vuota, dopo poco tutto
si spense. Prima la proiezione e si pensò ad un guasto alla pellicola, poi le
luci di emergenza e si pensò ad una mancanza di corrente elettrica. Poi
sentimmo le serrande chiudersi sbattendo a terra. Si pensò ad un momento di
follia del baffuto esercente. Al buio scendemmo la scale con la massima
velocità possibile. Mio padre cominciò a battere sulle porte e a gridare. Il
baffetto dal neo peloso era andato al Bar Cristallo, di fronte al cinema a
farsi un bianco per dimenticare la disastrosa scelta del film. Qualche passante
sentì le nostre urla e sconcertato ci fece aprire le serrande. “Scusatemi non
sapevo che eravate ancora dentro, se volete vi proietto il resto”, “asa
perdare, le un cinema del casso”. Cosa altro si poteva dire?
Anni dopo scoprii che eravamo
andati a vedere il primo film di George Lucas "l'uomo che fuggì dal futuro" , prima che il piccolo Joda con le grandi orecchie conquistasse il mondo
dell’immaginario.
Con stupore rivalutai il tipo baffuto con il neo peloso; era troppo avanti per un cinema di provincia.
Con stupore rivalutai il tipo baffuto con il neo peloso; era troppo avanti per un cinema di provincia.
Il 6 Maggio del 1976 alle ore 21
ricordo perfettamente dove mi trovavo.
Sopra al palco del Lux, in prima
fila, lato sinistro tra i soprani del coro del paese, preparavamo una serata di
canti per la festa della mamma. Quando cominciai a ondeggiare pensai che fosse
un altro episodio di svenimento. Mi capitava a quell’età, capitò anche in
chiesa mentre cantavo. Quella volta mi diressi ondeggiando in sacrestia, dove
caddi seduto sulla grande poltrona di legno che il sacrestano mi spinse incontro.
Lì assaggiai il vino del prete, per la prima volta, e mi ripresi. Nel Lux però
era diverso quella sera, non ondeggiavo solo io ma anche il direttore del coro
sopra lo sgabello, non era stabile e si afferrava al leggio. Poi si spensero le
luci, qualcuno gridò “il terremoto”. Cominciarono a spingere per scendere dalla
scaletta di legno che era davanti a me nel buio. Per fortuna qualcuno gestì la
situazione imponendo la calma. Tutti uscimmo dalla porta laterale. Ci
ritrovammo all’aperto, inconsapevoli che quel terremoto fosse partito dal
Friuli, a nord di Udine a 180 km da noi. Eravamo disorientati e spaventati .
Poi Cristina, la bella Cristina,
venne da me “Per piacere andresti dentro a prendermi il giubbetto?”. Aveva
scelto me, poteva chiederlo a chiunque, ma mi aveva scelto. Non avevo via di
fuga, come potevo rifiutare. Così entrai, al buio, sfiorando la parete e
continuando a picchiettare il muro con un pugno per non perdere l’orientamento
fino a quando colpii una grata di legno che ricopriva un termosifone. Un pezzo
della grata cadde a terra nel silenzio. Ero già terrorizzato di mio e non
pensavo di poter avere ancora più paura. Mi sbagliavo. Gli occhi si erano
abituati al buoi, trovai il giubbino e corsi fuori. Lancillotto verso la sua
Ginevra correva con minor impeto.
Alla fine la gestione del Lux
passò a noi. Spesso con la scusa di pulirlo entravamo al pomeriggio e stavamo
li fino a sera, ballando il rock del capitano uncino .
Bennato faceva tremare
la sala attraverso le casse del cinema a tutto volume. Una volta ci impegnammo
a cacciare un pipistrello, si pensava di riuscire a colpirlo con la scopa, con
il risultato di piantare la scopa su di un balcone. Proiettavamo film, svariati
film. Arrivavano in contenitori di alluminio grandi come un piatto, circa 8
pizze, e i trailer. Con l’uso di una manovella a mano si svolgevano le pizze e
si avvolgevano in grandi ruote in modo da costruire il primo ed il secondo
tempo. Le pizze venivano attaccate con del nastro adesivo largo quanto la
pellicola e si doveva stare attenti a sormontare correttamente i fotogrammi. Le
macchine funzionavano a carboni. Su di un carrello dove scorreva una vite senza
fine veniva fissato un cilindretto di carbone grande come una matita, di fronte
un altro cilindretto rimaneva fermo. Si sfruttava la luce emessa dalla scarica
elettrica tra i due carboni, la stessa di una saldatrice. Bisognava
controllare, attraverso un vetro da saldatore che i carboni si consumassero
uniformemente senza fondersi tra loro. Sulla parte superiore si incastrava la
ruota con la pellicola e poi, attraverso un percorso obbligato si faceva
scorrere il nastro bloccandolo nella lente e nella fotocellula che leggeva
l’audio, poi si attaccava la pellicola con il nastro nella ruota sotto in modo
che si avvolgesse.
Sono memorabili alcune scene. Il
trailer di “Firefox” il film con Clint Eastwood del 1982, venne montato al
contrario. L’effetto fu stupefacente, il super aereo di cui si raccontava
riuscì a volare in retromarcia e a testa in giù. Non avevamo nulla contro Clint, e chi è il
pazzo che si arrabbia con lui? Non era colpa nostra se in “Fuga da Alcatraz”
c’era una scena cruenta, dove un detenuto pittore decideva di amputarsi le dita
di una mano con un’accetta. Così scoprimmo e inventammo la censura. Non potendo
tagliare la scena decidemmo di oscurarla. Il modo più semplice fu di mettere
una persona seduta in galleria sotto lo spioncino del proiettore, munito di
scopa, la stessa del pipistrello. Al momento opportuno coprì lo spioncino e la
scena fu oscurata. Usammo la stessa tecnica durante la proiezione di “Laguna
Blu”. Prima però guardammo tra noi il film, già noi potevamo proiettaci un
film. In effetti in una scena di nuoto si potevano, ma sforzandosi, intravedere
dei peli pubici di Brooke Schields. Non che ci fosse da scandalizzarci visto le
nostre esperienze con i peli pubici, di cui scriverò poi, ma in un paese
bigotto come il nostro si convenne di usare ancora la censura di saggina. Un
film ci sfuggi e provocò alcuni turbamenti. Nelle prime scene di “vestito per
uccidere” di Brian De Palma compare un’avvenente signora bionda sotto la
doccia, nuda. Capita ai migliori censori.
Due film non vennero censurati e
provocarono reazioni nella popolazione perbenista del paese.
Christiane F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel.
Christiane F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel.
Una delle scene più
strazianti e significative del film di Babenco è quando si vede il fanciullo
Pixote, abbracciato alla prostituta Sueli mentre le succhia un seno. Questa
immagine forte serviva per rappresentare l’assenza della mamma per Pixote, e
l’impossibilità di esserlo per Sueli. L’immagine è forte ma il messaggio era
chiaro.
Non abbastanza per i puritani
bigotti che videro le scene, scrissero al parroco e ci imposero di appendere
dei manifesti di scuse alla comunità. Eravamo troppo avanti, così avanti che
girandoci vedevamo il nostro futuro. Intuimmo le nostre possibilità guardando i
film di un folle gruppo inglese. Terry Gilliam è geniale, probabilmente anche
pazzo, e quasi certamente tossico, come si intuisce in “paura e delirio a Las
Vegas” ma con Il senso della vita dei Monty Pyton proiettato al Lux nel 1983
condizionò tutto il nostro gruppo in modo profondo.
E poi arrivarono i replicanti capitanati da Rutger Hauer
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da
combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B
balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti
andranno perduti, perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di
morire.”
La colomba, liberata dalla mano trafitta del replicante albino, vola
tra la pioggia verso il cielo; Blade Runner .
Ci furono pellicole che
provocarono danni materiali. Per colpa de L'ultimo combattimento di Chen di Bruce
Lee, soprannominato “brustolin”, con l'ancora imberbe Chuck Norris. Venne rotta una sedia da un suo emulatore,
ormoni della crescita.
La cassa del Lux godeva di salute
precaria e si decise di controllare le spese: risultò che i maggiori costi
erano le liquirizie, quelle che si srotolano per mangiarle, quelle che mangiavamo
noi dello staff. Il costo dei dolciumi superava il valore dell’incasso. Appresa
la notizia deviammo sulle patatine, ma con scarso entusiasmo.
Al Lux un gruppo di esperti organizzava dei notevoli cineforum con
discussione finale. Proposero tre film del regista russo Andrej Arsen’evič
Tarkovskij: Stalker, Solaris e Nostalghia.
Anche il Giornale di Vicenza definì coraggiosa la scelta degli
organizzatori. La famosa Corazzata Potëmkin a noi ci faceva un baffo.
L’evento memorabile del Lux fu l’arrivo del Mago Salamini. Riusciva ad
ipnotizzare anche gli animali e aveva
fatto esplicita richiesta di galline, ma nessuno le aveva procurate. Il suo
numero stava per iniziare: per rimediare si andò a caccia nel pollaio della
vicina canonica, dove le galline dormivano su un albero.
Il gallo del prete era l’orgoglio della perpetua, grosso e dal canto
puntuale e fiero. Riconoscere al buio le zampe di gallina da quelle del gallo
non era facile, mentre si riuscì a distinguere bene le beccate ed i graffi.
Insanguinati portammo le galline dal mago, ma erano talmente agitate che addormentarle
era impossibile.
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Percepisco una dialettica e un ritmo alternativo, differente dalla massa letteraria, un apparente semplicità che racchiude la profondità di vita vissuta. Lettura empatica, mi piace.
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